Baby gang e razzismo: quei bus di periferia dove regnano i bulli

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Gli autisti: «Salgono e se la prendono con gli stranieri» di Raffaella Troili (Il Messaggero)

ROMA – Il pomeriggio è vuoto e lungo. La sera di più. A tal punto che una stazione di periferia può sembrare un luna park, un muretto, a certi giovani senza orizzonti. Piccoli e cattivi, agiscono in branco.

Da capolinea a capolinea: per noia salgono su un autobus, per noia provocano i passeggeri, cercano la rissa. Se la prendono con i più deboli, gli stranieri, gli anziani, le persone con handicap.

Non hanno visto Robin Hood o non gli è piaciuto. Sono figli di operai o di delinquenti matricolati, famiglie che hanno contattato i carabinieri solo per il nome dell’avvocato. «Baby gang? Teppisti di San Basilio, che per strada danno fastidio un po’ a tutti», spiega il comandante della Stazione dei carabinieri Tiburtino III Giuseppe Amodio.

Sulla banchina della fermata del 404 ancora si intravedono chiazze di sangue, l’ha perso giovedì, alle 19 mica a mezzanotte, Fausto Enrique Manzano, l’ecuadoriano preso di mira, colpito a calci e pugni, che si è difeso e ribellato, che steso a terra ripeteva arrabbiato, ferito anche nell’animo, «questo razzismo, questo razzismo». Lara che ha il banco lì davanti è stata la prima a soccorrerlo. «Per difendersi è scappato dentro l’autobus, ma gli sono montati sopra. Dopo gli hanno pure lanciato un sasso, lui l’ha ritirato, poi è crollato a terra pieno di sangue. Nessuno si è mosso. Queste cose succedono spesso, ma non si vengono a sapere».

Il 404 dalla Stazione di Ponte Mammolo passa per Casal Monastero, arriva a San Basilio. A fianco altre linee non meno agitate, il 350, il 40, i conducenti non si meravigliano più, i passeggeri si dicono rassegnati, a violenza e soprusi si sono abituati.

Marco Fatibene autista dell’Atac lavora qui da dieci anni. «E’ così in tutte le periferie di Roma, questi giovani bulli hanno tanta cattiveria dentro. Li subiamo quotidianamente, qualcuno riesce a tenerli a freno perché alla lunga li conosce. Usano gli autobus per farsi un giretto, per perdere tempo, si fanno da capolinea a capolinea. Che tristezza. E si sfogano con anziani, disabili, gente di colore, soprattutto». Sporco negro tornatene al tuo paese, tormentoni in cui nemmeno credono, ma che ripetono sciocchi.

«E’ un po’ che non vengono neanche i volontari dei carabinieri – ancora il conducente – la verità è che ci vorrebbero guardie in borghese». A girar per la stazione non c’è traccia di divisa, nessun controllo, nessuno a cui chiedere aiuto. Il deserto. Un viavai di viaggiatori, un casbah di commercianti abusivi. «Anche quando a bordo spingiamo il tasto dell’emergenza, comunque passa del tempo prima che arrivi qualcuno». Ascolta intimorita la signora Maria, 76 anni: «Io ho paura a venire da sola, lei vede una guardia in giro?».

C’è il conducente un po’ bullo che sminuisce: «So’ ragazzetti. E poi gli stranieri stanno a fa’ i padroni sugli autobus: hanno preso il brutto dei romani, la vena coatta. E cominciano ad alzare la testa». Ma è una voce isolata la sua. La maggioranza ha paura. «Mi si è richiusa la porta per sbaglio giorni fa sul 343, a San Basilio, mentre salivano dei ragazzini – racconta un altro – e un pischello a brutto muso mi ha rimproverato». Non si vergogna a dire che si è spaventato. «Poco dopo hanno aggredito due giovani fratelli indiani che andavano al lavoro, li hanno massacrati e sono scappati, ho avvertito la polizia, gli altri passeggeri erano immobili». Anche lui resta anonimo, «Ci beccano poi. E là dentro, sull’autobus è un circolo chiuso, noi dobbiamo solo vedere». In realtà li conoscono bene. Si avvicina un collega: «E’ una decina di giorni che questi di San Basilio, ma anche da Torraccia, salgono e prendono di punta gli stranieri». Offendono, provocano, gridano: «Autì spegni la luce, autì non ti fermare così lo massacriamo». Una volta, ricorda Urbano Leone, un passeggero, sul 451 sono saliti sulla tettoia, sul bus in corsa sulla Palmiro Togliatti.

Un far west. Dove la maggior parte delle violenze restano sconosciute, anche le telecamere a sentire le forze dell’ordine fanno cilecca. «Fino all’anno scorso – riprende il comandante Amodio – avevamo una vigilanza statica e dinamica a Ponte Mammolo. Una camionetta fissa che controllava anche l’area. Ora che l’hanno tolta non possiamo essere dappertutto. Così i tentativi di violenza sessuale, le aggressioni, lo spaccio, il commercio illegale sono diventati fenomeni quotidiani». Amodio si guarda intorno desolato. «Certo, questi giovani dove vanno? In questi quartieri non c’è niente, sono abbandonati a se stessi». Ripensa ai genitori degli arrestati. «Tendono a sminuire, a prendersela con la società». Qualcuno gli ha detto: «L’ambiente è quello che è, questi ragazzi che devono fare?». Oltre naturalmente alla difesa cieca: «Mio figlio non ha fatto niente». Scuse, giammai.

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